L’antitrust francese chiede di alleggerire i vincoli per le TV

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Spunti di riflessione sulla Legge Franceschini. Alleggerimento delle quote (di investimento e diffusione delle opere nazionali, europee e indipendenti), maggiore flessibilità nell’applicarle ai gruppi televisivi, revisione dei vincoli pubblicitari e delle norme sulle fusioni nel settore audiovisivo. Con il parere formulato alla commissione per gli affari culturali e l’istruzione dell’Assemblea nazionale sul progetto di riforma del settore audiovisivo l’Antitrust d’oltralpe sconfessa la politica culturale francese, la più sbilanciata in Europa nel sostenere la produzione cinematografica e indipendente. Si tratta della normativa alla quale di recente in Italia si è ispirata la Legge Franceschini, introducendo obblighi ulteriori a carico del settore televisivo. Secondo l’Autorità si tratta di una regolazione anacronistica ai tempi dell’offerta online, che costituisce un “vincolo ingiustificato” agli operatori nazionali in un contesto competitivo “inedito”. L’Antitrust si spinge oltre, raccomandando interventi urgenti per evitare che la riforma del sistema audiovisivo avvenga troppo tardi, con danni irreparabili per l’intero settore nazionale.

Il corposo parere, che giunge dopo diversi mesi di indagine, audizioni e raccolta di informazioni dagli operatori del settore, parte dalla constatazione che la rivoluzione digitale ha portato un cambiamento inedito nel settore audiovisivo, con la disintermediazione effettuata dai nuovi operatori, quali le piattaforme VOD, o gli OTT: oltre ad aver cambiato rapidamente i consumi di opere audiovisive, svincolandole dal palinsesto e aver introdotto un consumo personalizzato e “bulimico” (binge watching), essi hanno rivoluzionato il modello di business della distribuzione audiovisiva. Da questo bisogna ripartire per delineare una nuova politica di settore.

L’analisi. Si cita dal comunicato dell’Autorità: “In termini di modello di business, queste nuove piattaforme hanno innovato anche integrando all’interno della stessa azienda le funzioni di produzione, pubblicazione e distribuzione dei contenuti, vale a dire l’intera catena del valore audiovisivo tradizionale. Netflix o Amazon investono molto nella produzione di programmi, compresi quelli “originali” e le produzioni dal vivo, e mantengono tutti i diritti di sfruttamento, in tutti i territori e per una durata molto lunga. La loro capacità di investimento è incommensurabile rispetto agli editori televisivi nazionali, in quanto la loro base di abbonati è mondiale, e i diritti del loro catalogo non hanno scadenza. Inoltre, a differenza dei canali lineari, le piattaforme digitali beneficiano dell’accesso ai dati dei loro utenti, che consente loro di migliorare continuamente le loro offerte e in particolare l’algoritmo di raccomandazione.

La destabilizzazione degli operatori storici. Di fronte a questi nuovi usi, i modelli economici dei canali di pagamento e gratuiti sono stati scossi in maniera sostanziale. La pay-tv vedono il loro numero di abbonati in declino, data l’attrattiva dei programmi di piattaforme de-linearizzati, la ricchezza della loro offerta e il basso costo delle offerte e sono costrette ad abbassare i prezzi dei propri abbonamenti, riducendo le risorse per investire in programmi premium (sport, film, serie). Per i canali gratuiti, gli ascolti cominciano a diminuire, e le risorse pubblicitarie a ristagnare. Alla riduzione dell’ascolto  si aggiunge l’impatto della pubblicità mirata accessibile su Internet, sempre più apprezzata dagli inserzionisti, ma vietata alla televisione lineare.

Una regolazione anacronistica e asimmetrica. L’Antitrust si spinge a constatare che la normativa sviluppata in Europa, ma soprattutto in Francia e ideata a suo tempo a sostegno dell’intera industria, “impone oggi vincoli giuridici asimmetrici, che pesano solo sugli attori storici nazionali e limitano la loro capacità di adattarsi ai cambiamenti di mercato e di soddisfare le aspettative dei consumatori. Le nuove disposizioni europee (revisione della direttiva sui servizi media audiovisivi) risolverà solo parzialmente tale asimmetria, in particolare perché la sua applicazione richiederà un delicato coordinamento tra le autorità di regolamentazione di tutti gli Stati membri”.

Sulle quote. La legislazione francese impone agli editori televisivi di contribuire a finanziare la produzione cinematografica e audiovisiva, di cui una parte significativa deve soddisfare la qualifica di “produzione indipendente”. L’Antitrust commenta al riguardo che la normativa “organizza un sistema di investimento obbligatorio, complesso, differenziato in base ai servizi televisivi e per genere (cinema e opere audiovisive, opere di archivio di flusso …), che ostacola la libertà dell’editore nella costruzione del suo palinsesto”.  Contro restrizioni analoghe alla libertà dell’editore si è espressa CRTV in tutte le sedi istituzionali nel momento in cui la legge Franceschini ha reso più stringenti le quote di diffusione (di opere europee, indipendenti e cinematografiche), passando in soli tre anni dal 50 al 60% del tempo di trasmissione e aggiungendo vincoli specifici per il cinema in una fascia pregiata (che ricomprende tardo pomeriggio e prime time, con tutte le logiche di traino, identità di canale e impatto sulla raccolta pubblicitaria che ne conseguono) addirittura su base settimanale.  L’Antitrust francese aggiunge: “a questi obblighi si sommano quote di produzione necessariamente riservate ad opere “indipendenti”, opere per le quale le emittenti hanno i diritti di sfruttamento e di distribuzione strettamente limitati e decisamente a favore del produttore. Le emittenti non possono quindi, contrariamente alle piattaforme internazionali sfruttare questi diritti all’estero o sulle proprie piattaforme VOD se non per un tempo molto limitato, nonostante, di solito, abbiano commissionato o finanziato tali opere in quota ampiamente maggioritaria”.

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“Gli editori (televisivi) sono quindi svantaggiati perché, da un lato, non possono integrarsi verticalmente come fanno le piattaforme digitali che acquistano gli studi di produzione e, dall’altro, non possono acquisire diritti esclusivi a lungo termine per sfruttare un’opera su diversi canali in Francia e / o all’estero nè offrire così i prodotti più richiesti dagli spettatori” prosegue l’Antitrust: “in assenza di cambiamenti, i servizi di media audiovisivi francesi potrebbero essere indeboliti dalla concorrenza delle piattaforme digitali e non essere più in grado di sostenere il finanziamento della produzione francese, indipendente o meno, a livelli significativi”.

Le raccomandazioni. Fra le indicazioni fornite dall’Antitrust, che si riferiscono anche ad aspetti specifici delle quote e della pubblicità che attengono alla normativa francese, si segnalano quelle utilmente estendibili anche al contesto italiano:

  • Alleggerimento degli obblighi di investimento in opere europee e nazionali: “dovrebbe essere stabilita la possibilità di raggruppare gli obblighi di investimento all’interno dei gruppi televisivi per preservare la flessibilità nella scelta di investimento dei canali e la differenziazione delle linee editoriali all’interno di tali gruppo”;
  • Riesaminare le condizioni per il ricorso alla produzione indipendente: “mantenere un obbligo di ricorso alla produzione indipendente consente di evitare una concentrazione troppo forte con impatti sulla disponibilità dei contenuti e la diversificazione dell’offerta: ma è sufficiente limitare la definizione all’indipendenza finanziaria del produttore dall’emittente, senza porre condizioni alla negoziazione contrattuale. Gli editori televisivi che hanno finanziato l’opera devono poter negoziare direttamente i diritti di distribuzione con il produttore (ad esempio i diritti di trasmissione lineari e VOD) così come mandati di marketing, soprattutto all’estero, in modo da competere in condizioni di parità con altri player, lineari e non lineari, europei e internazionali”.
  • Riesaminare la legge anti-concentrazione del settore. Le disposizioni antitrust relative al settore audiovisivo, oltre ad aggiungersi al normale sistema di controllo delle fusioni, appaiono obsolete a causa degli sviluppi economici nel settore. Le garanzie predisposte a tutela del pluralismo infatti “si applicano solo agli operatori televisivi escludendo quindi una parte sempre più significativa dei fornitori di contenuti”. L’Autorità chiede pertanto una riprogettazione del quadro antitrust previsto ormai nel lontano 1986.
  • Allentare i vincoli sulla pubblicità mirata per gli operatori TV. A tale riguardo gli obblighi in Francia sono più stringenti che in Italia, ma è indubbio che il livello di personalizzazione della pubblicità permesso agli operatori internet e soprattutto, la libertà nella tracciabilità e l’elaborazione e l’utilizzo dei dati generati è un altro ambito cruciale di competitività per il settore. “E ‘probabile, visti i cambiamenti nel settore che nel futuro la pubblicità online e la pubblicità televisiva saranno sempre più opzioni alternative tra le quali gli inserzionisti vorranno scegliere. Oggi, il quadro normativo per la pubblicità televisiva non permette questo scambio su base paritaria”.

Urgenza. “Per evitare che gli attori storici restino bloccati nei loro sforzi di adattamento e siano progressivamente emarginati sul mercato nazionale e internazionale, emarginazione che finirà per danneggiare l’intero settore, l’Antitrust richiede di intervenire con urgenza, anche attraverso decretazione, sulla linea della raccomandazioni delineate”.

La riflessione, puntuale e accorata, dell’Autorità della Concorrenza francese deve far riflettere nel momento in cui in Italia ci si accinge ad applicare i dettami di una legge nazionale, la legge per il cinema e l’audiovisivo, che appare, come più volte ha ribadito CRTV, anacronistica per il contesto di mercato attuale, e volta ad estrarre valore e imporre ulteriori vincoli ai soli operatori tradizionali. In prospettiva il problema si ripropone per l’adeguamento della direttiva SMAV rivista: disposizioni che si vorrebbero pro-competitive, a sostegno della produzione europea e a prova di futuro, ma che avendo fallito nel ristabilire una parità di condizione competitive con i nuovi operatori, che restano largamente esentati da molti degli obblighi in capo agli editori televisivi rischiano viceversa di privare il settore audiovisivo della sostenibilità di una filiera plurale e identitaria che ruota, tuttora (si pensi anche alla disciplina del copyright) intorno agli editori televisivi tradizionali.

 

 

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