Facebook e la privacy. Il Consiglio di Stato mette un punto fermo

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I Giudici di Palazzo Spada hanno confermato la sanzione che AGCM aveva irrogato a Facebook Ireland Ltd. e Facebook Inc., per mancata ottemperanza ad un ordine dell’Autorità, relativo alla pubblicazione in homepage e nella bacheca di ogni utente di una dichiarazione rettificativa della frase “è gratis e lo sarà per sempre” (frase, quest’ultima, già cancellata).

Con la sentenza del 10.1.2020, n. 260, il TAR Lazio aveva confermato la sanzione (per una più ampia disamina della pronuncia si rinvia a un precedente articolo, affermando che il dato personale è un bene che può essere sfruttato e usato: acquista, proprio in ragione di tale uso, un valore economico idoneo, dunque, a configurare l’esistenza di un rapporto di consumo tra il Professionista e l’utente.

La decisione del TAR ha trovato ora conferma nella pronuncia del Consiglio di Stato del 29.3.2021 n. 2631.

Molto interessante è, in proposito, la difesa che il social network ha tentato di strutturare davanti ai Giudici del Consiglio. Ha sostenuto infatti che non ci si troverebbe dinanzi ad una pratica commerciale scorretta, di talché neppure potrebbe dirsi sussistente il potere dell’Autorità di istruire la procedura e di sanzionare la Società. Ciò in quanto non ci sarebbe alcuna operazione di acquisto di un prodotto a fronte del pagamento di un prezzo da parte dell’utente di FB: “senza necessità di pagare un prezzo, non vi è nemmeno spazio per ipotizzare una pratica commerciale, né, ovviamente, si può ritenere l’affermazione della gratuità scorretta ed ingannevole”. Insomma, la tesi di Facebook è che gli utenti non cedono affatto i propri dati a FB quale “corrispettivo” per la fornitura del servizio, essendo i dati un bene non commerciabile.

I Giudici amministrativi affrontando la questione in modo estremamente pratico, hanno osservato che le informazioni rese all’utente al primo contatto da Facebook non contengono gli elementi essenziali per comprendere le condizioni e i limiti delle conseguenze che, a fronte della gratuità dei servizi offerti, deriveranno dalla profilazione in termini di indefinibilità dei soggetti che utilizzeranno i dati personali messi a disposizione e di tipo di utilizzo commerciale connesso. Insomma, senza dire che i dati sono beni commerciali, il Consiglio ne evidenzia l’importanza, appunto, commerciale (in quanto diritti “patrimonializzati” dal social network), imponendo l’osservanza delle norme del Codice del Consumo.

[TAR: il dato personale è un bene che può essere sfruttato e usato che acquista, proprio in ragione di tale uso, un valore economico idoneo a configurare
l’esistenza di un rapporto di consumo tra il Professionista e l’utente]
[CONSIGLIO DI STATO. Importanza commerciale dei dati (in quanto diritti “patrimonializzati” dal social network), per cui si impone l’osservanza delle norme del Codice del Consumo.]

Chiusa la vicenda della “gratuità”, rimangono comunque molte questioni aperte, la prima delle quali è l’accesso dei minori alla piattaforma. Se infatti il dato personale concesso ha valore patrimoniale, e se l’utilizzo della piattaforma non è gratuito, se ne dovrebbe inferire che i minori non sono capaci a concluderlo e, comunque, che i minori di quattordici anni non potrebbero prestare il consenso al trattamento dei loro dati, e quindi non potrebbero registrarsi alla piattaforma.

Questa e altre questioni dovranno essere oggetto di attenta riflessione, anche da parte del legislatore.

Avv. Giuseppe Colaiacomo

Avvocato in Roma, esperto in materia di privacy e diritto del lavoro

https://www.linkedin.com/giuseppe-colaicomo

 

 

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